Storia e archeologia nella valle del Carapelle

L’ospite di questo mese è Giovanna Baldasarre, archeologa pugliese impegnata in molti interessanti progetti, che ho conosciuto all’inizio della mia avventura sul web. Collabora come operatrice didattica con Archeologica Srl. È una delle archeoblogger di Archeokids e fa parte del team di Famiglie al Museo (FAMu). Seguo i sui interventi, leggo i suoi articoli e quello che mi colpisce di più di Lei è lo smisurato amore per l’archeologia, che traspare da ogni parola e la grande capacità di divulgazione anche con i bambini. Non perdete il suo racconto  e lasciatevi guidare in un luogo magico.

È una calda mattina di fine aprile. Il cielo è di un azzurro nitido e l’aria pulita. Il paesaggio attorno è di quelli che non smettono mai di sorprenderti: basse colline che dolcemente digradano verso infinite distese di verde. La valle del Carapelle, nel cuore della terra di Capitanata, in Puglia, è uno di quei scenari fatti apposta per essere contemplati o fotografati, con un obiettivo o con la sola luce degli occhi. Difficile restarvi indifferenti, impossibile non sentire la tentazione di tornarvi ogni volta sia possibile, per quel legame forte e invisibile che lega la gente del Sud alla sua terra.
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Qui tra questi campi, un tempo attraversati da un fiume – il Carapelle -, la storia ha lasciato tracce indelebili, le stesse che gli archeologi osservano su una fotografia aerea o solcando a piedi i campi o ritrovano attraverso lo scavo. L’antica città di Herdonia o la villa romana di Faragola sono soltanto due delle aree archeologiche più rappresentative di questo territorio che il SAC (Sistema Ambientale Culturale) Apulia Fluminum, un progetto di valorizzazione integrata dei Beni Culturali della provincia di Foggia, sta promuovendo e riportando all’attenzione dei cittadini e dei turisti attraverso un viaggio nel tempo che li renda consapevoli della ricchezza e delle potenzialità culturali di questo comprensorio.
Il progetto, coordinato da Archeologica Srl, una società di servizi archeologici attiva in Capitanata, vede tra i suoi principali interlocutori le famiglie e soprattutto i bambini. A questi ultimi sono destinate la maggior parte delle attività didattiche previste nei prossimi mesi fino a giugno; il principale obiettivo non è solo quello di far accostare i più piccoli all’archeologia del territorio, ma soprattutto far passare l’idea che la conoscenza del passato è l’unico passaporto valido per attraversare il presente e approdare al futuro.
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Una delle attività in programma, quella che riscuote maggiore successo, è lo scavo simulato. Oggi, a Faragola, è previsto l’arrivo di circa 80 studenti di scuola media e anche se ogni cosa è stata programmata nei minimi dettagli c’è, come sempre, un po’ di timore. Come far capire che si è archeologi anche quando non si scava ma si raccontano storie per costruire ponti tra passato e futuro? Come spiegare che queste aree archeologiche appartengono a ciascuno di noi e che anche la loro partecipazione attiva ad un processo collettivo di conoscenza e salvaguardia può fare molto di più di una direttiva ministeriale?
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Inanelliamo parole l’una dietro l’altra, poniamo domande e ascoltiamo risposte, proviamo a sciogliere i dubbi e a sollecitare la riflessione, gioiamo dell’entusiasmo che dimostrano nel cimentarsi nell’attività di scavo, nel rimuovere terra e raccogliere finti reperti, svuotare secchi e compilare schede. Anche noi, qualche anno fa, qui, tra queste stesse mura, avevamo entusiasmo e incoscienza da vendere. E poi? Cosa è mancato?
Archeologia a Misura di Bambino
Ho cominciato a raccontare l’archeologia ai bambini un po’ per caso e un po’ per scelta. L’occasione giusta, quella che ha fatto la differenza, è capitata qualche anno fa: la possibilità di investire tempo e denaro, grazie ad una borsa di ricerca, in un progetto di ideazione e scrittura di due quaderni didattici sull’archeologia per bambini. È cominciato tutto così, in sordina e per uno strano effetto domino: con due libri da progettare, storie da raccontare e far illustrare nel modo giusto, linguaggi da imparare o inventare, saperi da ricreare, competenze da ridiscutere. Il resto è venuto da sé: l’incontro con i bambini nelle scuole, nelle librerie o nelle piazze, i laboratori e le mani sporche d’argilla o di terra, le storie da leggere o da raccontare o inventare. Fino ad Archeokids, il bellissimo blog (eh lo so che sono di parte) su archeologia e bambini che curo assieme ad Elisabetta, Francesco, Nina e Samanta, tutti archeologi narratori.

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Mi sono sentita molto più archeologa in questi ultimi anni di scavi simulati e lezioni tra i banchi che in quelli precedenti quando scavavo solo (per davvero) e schedavo mattoni, ho percepito l’essenza e la necessità di questa professione molto più di fronte agli occhi sgranati dei bambini di una scuola materna che durante le tante lezioni sorbite all’Università. E ho scoperto che raccontare l’archeologia ai più piccoli, centellinando le parole e sforzandomi di capire il loro modo di percepire le cose, rimpicciolendo i miei ragionamenti e facendo passare attraverso il gioco concetti e domande che forse un giorno cresceranno assieme a loro, è uno strumento potente per contribuire oggi ad un cambiamento culturale.
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Non è retorica parlare dei bambini come del nostro futuro. Se riusciamo oggi a far capire ad un bambino che un museo come un sito archeologico può essere uno spazio di gioco e di esplorazione al pari di un parco o di una scuola, che il lavoro degli archeologi è importante ma ordinario tanto quanto quello del medico o della maestra, se siamo in grado di far comprendere che quello che studiano sui libri di storia serve a decifrare meglio il mondo attorno e anche i propri comportamenti, allora forse i bambini saranno i nostri migliori alleati. Per aiutarci a sensibilizzare anche i grandi, per provare ad immaginare una società diversa in cui l’identità storico-culturale e il patrimonio siano una ricchezza da salvaguardare.