La biodiversità didattica

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Lavoro nella didattica dell’arte da un tempo ragionevolmente lungo da aver attraversato stagioni differenti. Sento di vivere un momento cruciale come donna, professionista, genitore.Sempre più studi e statistiche ci confermano che non stiamo facendo un gran lavoro per la creatività ed espressività delle giovani generazioni. Eventi di ogni sorta scuotono il nostro pianeta sollevano taglienti riflessioni polimorfe. Perché la vita, come l’arte, non è a compartimenti stagni. Ho contenuto i pensieri, arginando le derive apocalittiche, indirizzandoli sul tema del mio blog. È stata una prova dura. Oscillo continuamente tra la voglia di capire e quella di sorvolare. Tra il desiderio di seguire –testardamente- le mie convinzioni e quella di abbandonarmi-mansuetamente- al gelido vento di approssimazione che vedo spirare. Mi interrogo continuamente su mode, tendenze, teorie, opportunità, messaggi. Eppure, aggiungendo consapevolezza e alternando stati di coscienza controversi, finisco col darmi sempre la stessa risposta.
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Preferisco
Quando lavoriamo insieme alle giovani generazioni con, sulla e per l’arte, abbiamo una preziosa opportunità. Abbiamo un canale diretto, un tempo da condividere. Un’idea da regalare. Un messaggio da seminare. Una vita, per quanto piccola, cui dare ascolto. I laboratori e le attività che proponiamo sono strumenti culturali. Per esempio usare le tempere per lavorare sulle emozioni. Manipolare la creta per potenziare l’autostima. Visitare musei per invitare alla tolleranza. Dipingere per imparare ad amare le differenze. Inchiostri per rispondere alle domande dei bambini, anche se risposte non ne abbiamo. Avere il coraggio di dire loro: ‘non lo so, ma possiamo provare a cercare insieme.’ È evidente quello di cui abbiamo bisogno. Responsabilità, coerenza, tenacia, rispetto, volontà. Abbiamo bisogno di vincere la paura dell’omologazione di strumenti e metodi. È un fine cui tendere. Certo una lavoro perpetuo. Fatto di sbagli, prove, accelerate, ritorni. Ma credo nel valore del mio lavoro. Credo nella necessità di tornare a parlare stando vicini, guardandosi negli occhi, ad un recupero di dimensione socio-emotiva della relazione, al potere dell’arte, dei libri, del dialogo. Dando valore alle sensazioni che ci attraversano. Al frontale preferisco lo scorcio. Del totale mi rapiscono i dettagli. L’arte è un medium potente per aprire la comunicazione con noi stessi e con gli altri. Per imparare a conoscere l’identità di nuovi popoli e riappropriarsi della propria. Per comprendere le civiltà vicine e lontane, di ieri e di oggi. Per scoprire il proprio istinto e affidarsi ad esso. È tempo di essere, di agire, di ritrovare speranza. Tante cose si apprendono e si studiano, in qualunque settore l’aggiornamento è linfa vitale per crescere. Tutto passa sulla pelle. Così ai principi che porti avanti aggiungi asterischi e postille, fino a rendere reali degli enunciati che, fino a prova contraria, sono solo teorici. Capisci che la ricchezza maggiore è farti attraversare dai principi in cui credi e cercare di applicarli al contesto rendendoli efficaci. Metabolizzare. I valori dell’arte come una molecola, che va scissa in tutte le sue componenti, per essere tramutata in nutrimento funzionale.
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La didattica che ti cambia
Allora salviamo la biodiversità didattica. La scelta dell’approccio è alla base del nostro agire. Vedo sempre più operatori timorosi, che si forzano di essere neutrali, che faticano ad esporre il proprio punto di vista, omologandosi in forme e funzioni che chiaramente non gli appartengono. Ma vedo anche persone che contaminano discipline, che propongono analisi, che azzardano ipotesi. Io non sono esclusa dalle contraddizioni in agguato. Definisco la mia posizione vivendo e sbagliando anche. E lascio sempre più spazio alla mia visione personale. Che, nei momenti di sconforto, bistratto domandandomi se non sia meglio percorrere sentieri senza buche. Ma che, più spesso, rafforzo convincendomi che sia l’unica strada che posso percorrere senza tradire me e chi mi sta davanti. Sminuire chi lavora con le nuove generazioni attraverso l’arte è un tentativo di impedire un sviluppo equilibrato. Fatto di costruzione, di ascolto, di gestione delle emozioni, di rinunce, di attese, di comprensione, di dialettica. Che percezione prevale alla fine di un laboratorio di didattica in noi e in chi ha partecipato? Io paragono questo momento alla fine di un libro. Quando hai letto l’ultima pagina e ti rimane tra le mani la sensazione indefinita, di qualcosa che si è concluso e di qualcosa che si apre. Di alcuni libri ti restano i personaggi, di altri i dettagli, di alcuni le storie. Ci sono quelli che ti inquietano, ti annoiano, ti infastidiscono. Quelli che ti fanno riflettere, sognare, divertire. Quelli che dimentichi subito e quelli che ti cambiano la vita.
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