La pedagogia della domanda

Questo mese la rubrica ospita l’opinione di chi vive la scuola da dentro. Lorena Figini insegna, conduce un blog su didattica e pedagogia, coltiva passioni artistiche, si dedica agli altri e cura un’interessante pagina fb. Della sua storia mi ha incuriosito, tra l’altro, l’argomento della sua tesi in didattica della poesia. Di Lorena condivido il tono con cui parla dei sui argomenti e la spinta alla condivisone delle esperienze per crescere, migliorare, confrontarsi.

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La mia idea di didattica
Negli anni, osservando e provando in prima persona il lavoro in classe, sono arrivata a un’idea secondo me fondamentale nella didattica: non bisogna avere certezze, ma tantissimi dubbi. Nessuna pratica è giusta o sbagliata di per sé, ma va calata nel contesto (bambini, ma anche genitori e colleghi), va soppesata e studiata nelle sue valenze positive e negative. È per questo che non rinnego pratiche del passato (una su tutte il dettato) o non esalto alla follia pratiche più moderne (i tablet, per dirne una), ma cerco sempre di chiedermi cosa serve in quel momento per quella classe, formata da quei bambini e soprattutto in quel momento.
Alcuni dei temi a me cari
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1. La poesia a scuola

“Prima del laboratorio cosa pensavi della poesia? 5 – 10 versi messi insieme. Ora cosa ne pensi? Un insieme di sentimenti, cose fantastiche, quello che pensiamo…”
Fare poesia a scuola è spesso una pratica standardizzata e limitante nella scelta di autori e generi poetici. È per questo che ho scelto la didattica della poesia come percorso di tesi, durato la bellezza di un anno; il progetto mi ha permesso di approfondire l’approccio adeguato alla poesia che gli insegnanti possono mettere in atto per renderla più piacevole, ma soprattutto più alla portata dei bambini. Se la poesia viene conosciuta come una realtà, bella, utile, facile da comprendere, avremo fatto il primo passo e potremo poi portare i bambini a un livello più alto, con testi più difficili, via via alla loro portata. Per portare i bambini sulla via di una poesia divertente e giocosa, ho utilizzato abbecedari, acrostici, filastrocche, limerick, fànfole, haiku, autoritratti visivi e calligrammi… in modo che si sciogliessero e iniziassero ad amare una poesia diversa, leggera, ma via via più elaborata. In seguito ho utilizzato il metodo proposto dal poeta Kenneth Koch e ho fatto scrivere poesie attraverso anafore quali “Vorrei…”, “Se fossi…”, “Nessuno sa…”, “Io…”, “Solo…”, “Una volta… ora…”, eccetera: i bambini hanno potuto scrivere testi collettivi e individuali non banali, perché le idee proposte da Koch fanno sì che nei bambini cresca la voglia di scrivere ancora, si sentano un po’ poeti e si azzardino a sperimentare, attraverso le parole, contenuti che convenzionalmente non sono considerati poetici. Poesie irriverenti e divertenti, che i bambini desideravano leggere e regalare ai compagni. È stata una bella avventura, un insegnamento per me, per le mie colleghe e per i bambini: per iniziare a fare poesia con meno schede (ma anche quelle servono) e più fantasia, meno frasi fintamente poetiche (primavere e fiorellini) e più emozioni (anche rabbia, dolore, malinconia, che sono emerse così bene dalle poesie dei bambini). Un lavoro propedeutico all’analisi di testi poetici più complessi, ma che permette di amara la poesia per quello che è: una via per raccontare se stessi e il mondo attorno a noi.
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2. La sfida dell’inclusività

La scuola deve essere inclusiva. Inclusiva verso i bambini stranieri che in Italia sono sempre di più e spesso sperduti in un nuovo universo per loro a volte incomprensibile. Ma soprattutto inclusiva nei riguardi della diversità in generale: ieri l’handicap (ora più accettato), oggi tutta una serie di necessità che i bambini hanno e che noi insegnanti dobbiamo tener presenti. Disturbi legati a handicap, autismo o altre situazioni, a difficoltà di apprendimento (lettura, scrittura, calcolo) o a sindromi di iperattività ci portano a trovarci davanti a bambini con i più svariati bisogni educativi (o meglio didattici) speciali. Ecco allora che l’insegnante di classe deve diventare anche insegnante di sostegno e la didattica deve diventare il più possibile una didattica personalizzata e individualizzata, se vogliamo che ogni bambino sia non integrato (perché l’integrazione prevede che il diverso sia inserito insieme agli altri) ma incluso, intendendo l’inclusione come l’unione di tante persone diverse, ciascuna con le sue caratteristiche positive e negative, ciascuna unica, che insieme agli altri deve contribuire a creare una classe quanto più inclusiva possibile. Questa è oggi la sfida degli insegnanti, sfida che io personalmente ho raccolto e cerco di non dimenticare nella pratica didattica quotidiana.
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3. La pedagogia della domanda

È un po’ il mio motto: la pedagogia deve basarsi sulla domanda. E la didattica anche. Iniziamo dalla didattica: bisogna insegnare ai bambini a porsi domande su tanti fronti. Devono chiedersi il perché delle cose: perché succede questo (in storia, in scienze, in italiano, in tutto!), perché lo devo sapere, perché lo devo ricordare, perché funziono così, perché ricordo le cose che ho studiato oppure faccio fatica, perché il mio compagno lo sa fa fare e io no, cosa serve a me per saperlo fare (evviva la meta cognizione, a questo dobbiamo portare i bambini). Porsi domande, per sviluppare uno spirito critico fondamentale per affrontare la vita. Lo stesso vale per noi insegnanti: non fermiamoci alle pratiche note, ma nemmeno all’ultima moda di una metodologia didattica piuttosto che un’altra, ma continuiamo ad approfondire, a studiare, a chiederci cosa serve davvero a questi bambini (non quelli del 2014, ma quelli della classe che abbiamo di fronte, o meglio del singolo bambino che abbiamo in classe). Cerchiamo di conoscere tutte le metodologie e le strategie didattiche, ma non applichiamole solo perché qualcuno ci ha detto che funzionano: sperimentiamo, sì, ma sempre pensando al perché, perché qui, perché ora, perché con quel bambino. Solo così potremo offrire a bambini e genitori un servizio valido, aggiornato e soprattutto ragionato.