Non si produce conoscenza senza rispetto

GdL1

L’articolo dell’ospite del mese di gennaio Elisabetta Pezzarossa, MusicArtterapeuta, mi ha regalato un’immagine molto suggestiva e mi ha avvalorato un concetto che, quando penso al mondo dell’infanzia, mi porto sempre dietro.
L’immagine calda e rivelatrice è: il grembo materno come prima ludoteca.
Il concetto forte e incontrastato è: la naturale propensione ad esplorare dei bambini!
Ecco le mie libere considerazioni sull’articolo di Elisabetta, riportate alla mia esperienza e filtrate dalle mie convinzioni.
Il grembo come luogo perfetto dove cominciamo ed esistere e a crescere. L’importanza che va data a gesti, per quanto piccoli; a toni di voce, per quanto flebili; a relazioni con le persone, per quanto lontane; a movimenti nello spazio, per quanto irreale. La necessità di considerazione! Sempre. Fin dal primo istante di vita. Troppo spesso vedo situazioni ‘dedicate’ ai bambini in cui non viene rispettata la loro creatività. Ovvero: troppo spesso siamo più concentrati sull’informazione che vogliamo trasmettere e non sui soggetti con cui stiamo parlando. Soggetti intesi come bambini, bambini intesi come individui. La conoscenza -come esperienza- non si radica, non si sedimenta nella persona se la relazione educativa non è fondata sul rispetto! Le poche piccole regole a cui io mi attengo quando lavoro, che sembrano uscite da biglietti dei cioccolatini tanto immediate e semplici, come guardare negli occhi il bambino con cui sto parlando, non sono inutili vezzi, né superflui messaggi. La intenzione prima deve essere entrare in contatto con il bambino, non preoccuparsi di finire in tempo quello che si è progettato. Gli obiettivi di un laboratorio didattico possono essere molteplici, possono riguardare un artista, o un metodo o un tema trasversale. In ogni caso, perché l’esperienza sia il più possibile formativa, occorre lasciare attivi canali di espressione non convenzionali. Strutturare un percorso che guidi le finalità stabilite, ma nello stesso tempo non lasciare inascoltate le possibili evoluzioni o le deviazioni che, inevitabili, emergono quando si fanno incontri collettivi sull’arte. I condizionamenti che operiamo sui bambini, anche in buonissima fede, sono tantissimi. Dovuti al nostro carattere, alle convenzioni sociali, ai contesti che ricreiamo, alle predisposizioni dei bambini, all’utilizzo di metodologie. Siamo dei MEDIATORI e per quanto sia lo sforzo di NON soggettivizzare le informazioni, agiamo attraverso filtri personali. Per esempio, se durante un’attività ho previsto l’uso del pennello per spalmare la tempera su delle tele e i bambini arrivano a sostituire l’uso dello strumento dato con le proprie mani non interrompo il gioco appena nato, ma lascio sperimentare il nuovo percorso spontaneo. Perché lo stimo importante per:
1- la soddisfazione momentanea del bambino, che trova più divertente spalmarsi di colore che usare il pennello;
2- la capacità di seguire un pensiero divergente, ovvero la necessità di lasciar fluire un impulso esplorativo,
3- l’iniezione di autostima e di crescita che deriva da un’azione personale,
4- Consolidare l’idea che sbagliare è un modo di procedere, non un motivo per fermarsi.
Sopra ogni cosa il gioco. Come metafora e come strumento, ludico e serio, di indagine per scoprire se stessi e il mondo circostante.